JEANNOT

liberamente tratto da Diario del ladro
di JEAN GENET

Trascrizione e regia
ENZO G. CECCHI

Con
Marco Zappalaglio, Enzo Cecchi,
Luca Boschi, Iris Faglie,
Antonio Zuccarino, Giovanni Bolognini,
Roberto Bernabè, Alessandro Bernardeschi, Guglielmo Papa, Daniela Fini

Collaborazione scene e costumi
Tiziana Draghi

Produzione
Piccolo Parallelo - TNE Moline - con la collaborazione del Comune di Bologna

prima rappresentazione : Bologna, Teatro La Soffitta - 31 marzo 1987


DALLA SCHEDA DELLO SPETTACOLO


«... esiste ritualità: cristiana, pagana, orientale, esistono intromissioni poetiche sulla linea del racconto, esiste il dramma della miseria e della solitudine. Esiste la passione e la rabbia, esiste il Genet del racconto e il Genet dalla cui testa e dalle cui viscere nasce il racconto. Esistono dieci attori ai quali abbiamo chiesto grande versatilità e compattezza per utilizzare in maniera vibrante e viscerale sia il corpo che la voce... spesso con gli attori parlavo di grandiosità, quella cui mi riferivo era sempre una grandiosità morale...» «... non si trattava di riprodurre attori simili tra loro ... se il corpo è il perimetro dell'esperienza bisognava che ogni attore avesse in sé un po' di sangue e di carne degli altri...».


RILIEVI


"Jeannot" è stato uno spettacolo strano e dall'andamento disomogeneo, dei grandi amori e dei grandi odii. Il progetto nasce nei primi anni '80 ed era più interessato a "Querelle" che non a "Diario del ladro". Poi è arrivato Fassbinder (vedemmo la copia in una famosa ed emozionante serata a Santarcangelo e poi un altrettanto emozionante filmato/documentario sul film al "Festival dei popoli"). Nessun produttore era intenzionato a darci una mano e a farci decidere per lo spettacolo sono stati tutti i no che abbiamo ricevuto. A febbraio '86 abbiamo reclutato diversi fra attori, danzatori, musicisti e principianti per un laboratorio che definivamo "al maschile" e che era improntato sul training e su improvvisazioni che avevano l'occhio a "Diario del ladro". Poi è intervenuto in nostro aiuto il T. N. E/Moline e il Teatro La Soffitta di Bologna. "Jeannot" prevedeva tre fasi, una primaverile, una estiva ed una autunnale. In realtà ci siamo fermati alle prime due. Gloriosa e importante la prima fase, “scasciata” e con notevoli perdite di colpi, la seconda. Questo spettacolo ha provocato odii e amori, grande partecipazione di pubblico e vaneggiamenti da pura follia in molta critica. In pratica solo Franco Quadri su "Panorama" era riuscito a comprendere il lavoro che stavamo facendo. Qualche altro ha definito lo spettacolo "erotico - ginnico", "hard che di più non si può" "spettacolo con accoppiamenti bestiali in scena"; mentre Daniele Brolli su "Frigidaire" ci stroncava e si incazzava con noi perché non aveva visto nello spettacolo niente di quelle trasgressioni che sperava di vedere. Inoltre come poi succederà ancora con "Nella solitudine nei campi di cotone" molti teatranti smisero di salutarci e di ciò non abbiamo mai pianto.


NOTE DI REGIA


Abbiamo risolto drammaturgicamente la complessità del testo pensando a due Genet, mai troppo divisi, mai troppo uniti, uno rituale, totalmente rasato da cui spesso nascevano le scene (come il bagno di cui parleremo tra poco) padre e madre, come la Pietà iniziale da cui nasceva l'altro Genet. Mentre il primo agiva in verticale, o contro un muro, o rovesciato, il più giovane era il Genet del racconto che agiva in orizzontale e con gli altri attori. Questi attori erano massa da cui emergeva il personaggio di cui si parlava. Drammaturgicamente abbiamo considerato il periodo spagnolo e quello di Anversa cercando di riprendere più atmosfera, un erotismo, una verità e la poesia di un testo da noi ampiamente rimaneggiato e tradito. Con gli attori si è lavorato tradendo e rubando da loro attimi di vita, come quando si è lavorato in prova ad un training che prevedeva dovessero camminare e correre e accucciarsi come topi che si annusano e che poi abbiamo utilizzato per rendere gli accattoni, mantenendo certi sguardi, certe attrazioni o antipatie e una carica erotica assolutamente personale. Da risultare poi perdutamente belli dolci e perversi che a detta di tutti sembravano realmente usciti dal libro di Genet. Abbiamo voluto che gli attori mantenessero i loro accenti originali e forse con un po' più di coraggio li avremmo fatti parlare nei loro dialetti. La scenografia curata da Tiziana Draghi prevedeva un cielo scheggiato fatto di corde e assi di legno, due piattaforme mobili a diverse altezze e una pioggia di corde Alte corde di volta in volta delimitavano gli spazi che diventavano un carcere, la tolda di una nave, o un enorme letto riempito da cuscini. I costumi costruiti con la fantasia e la genialità di chi è povero erano elegantissimi per l'entrata del pubblico, poi gli attori si spogliavano e rimanevano in mutande e canottiera vistosamente sporche e stracciate. (Anni dopo ci è successo di vedere in un vicolo di Napoli un ragazzo di rara ed esagerata bellezza che sulla porta di una chiesa con pantaloni e canottiera stracciati mangiava una cipolla). In genere i costumi rispecchiavano momenti del racconto, così mutande e tante lenzuola tinte a mano per il periodo spagnolo, pantaloni e camicia quando emergeva un personaggio, pantaloni, stivali e mantelle di gomma per il periodo piovoso di Anversa. In opposizione agli sguardi e alla creazione dei personaggi con le loro attrazioni o repulsioni, tutti i movimenti erano molto precisi e spurgati dal superfluo. A tratti i movimenti diventavano astratti secondo un linguaggio che conoscevamo solo noi, fascinoso e incomprensibile al pubblico come un codice che può nascere fra carcerati e sconosciuto agli altri (ne è un magico esempio il film "Un chant d'amour" di Genet) Un'ultima notizia sulla scena che maggiormente ha eccitato le curiosità: quella in cui il Genet "rituale" si muoveva a ritmo di tango appeso ad una fune e da sotto una enorme gonna di plastica trasparente che partiva da lui, gli attori si lavavano e si massaggiavano. Avevamo bisogno di una scena che servisse anche come cambio abito, immaginavamo una taverna e l'immagine ritornava sempre al "Querelle" di Fassbinder, ma non c'entrava niente con il nostro spettacolo. Ci ha aiutato l'"Otello" di Orson Welles: un bagno/sauna con degli asciugamani bianchi, gli attori che si lavavano o massaggiavano secondo tecnica Shatzu e il rumore della plastica che ricordava le onde del mare.


NOTE DI CRITICA


«.Nonostante i molti scoperti riferimenti a padri illustri, il Living soprattutto ma anche Barba e Peter Brook lo spettacolo di Piccolo Parallelo tende a una sua personale costruzione drammaturgica e comunque è ricco di motivazioni forti e capacità inventive».
SIPARIO, Titti Danese.

«... il complesso di Cecchi/Zappalaglio recupera il gioco di riflessi e il compiacimento letterario di Genet attraverso un filtro di sovrapposizioni intellettuali con citazioni della pittura classica e ricorsi figurativi che vanno dal Living ai Magazzini».
PANORAMA, Franco Quadri

«... La simulazione è insipida perché quando le mani andrebbero ficcate in culo o dovrebbero impugnare un cazzo, o due uomini dovrebbero baciarsi con passione, si cerca il testo».
FRIGIDAIRE, Daniele Brolli

«Una ricerca che privilegia il valore espressivo della voce, dell'aspetto visivo delle scene, ma soprattutto una ricerca impostata decisamente sul rapporto fra il corpo e lo spazio, al confine con la danza, il teatro gestuale...».
BABILONIA, Stefano Casi

«... Un ritratto che ha il pregio indubbio della sincerità, nell'omaggio ad un protagonista della cultura contemporanea sentito evidentemente come proprio».
IL MANIFESTO, Gianni Manzella






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